Rovereto
30 Aprile 2019
Se “she” diventa “it”
Uno studio mette in evidenza cosa accade nel cervello umano quando una donna viene percepita come oggetto. La ricerca, svolta da un gruppo del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive e del Centro interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento, è stata pubblicata oggi sulla rivista “Scientific Reports”
I risultati potrebbero fornire nuovi strumenti per indagare fenomeni come la violenza di genere e razziale
Se “she” diventa “it”. Un rischio che le donne corrono quando vengono ridotte a oggetto, al loro corpo, a parti di esso. Perché ciò determina poi il modo in cui vengono viste e trattate. Il riscontro sperimentale arriva da uno studio svolto all’Università di Trento. I risultati sono stati pubblicati oggi sulla rivista “Scientific Reports” e segnano una svolta nella letteratura sull’oggettivazione sessuale.
La discussione su ciò che porta una donna a essere più esposta di un uomo al rischio di venir considerata un oggetto coinvolge teorie evoluzionistiche e socio-culturali e interpella varie discipline scientifiche. Il team di ricerca del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive e del Centro interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) di UniTrento ha analizzato cosa accade nel cervello umano di fronte a un oggetto che viene fatto apparire in due situazioni diverse: in mezzo a un gruppo di donne e in mezzo a un gruppo di uomini. L’attività cerebrale, misurata con l’elettroencefalogramma, dimostra che un oggetto si nota meno quando è in mezzo alle donne rappresentate in intimo o in costume da bagno.
Jeroen Vaes, professore del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive e primo firmatario dell’articolo, racconta: «Gli studi condotti da decenni sull’impatto dell’oggettivazione sessuale dimostrano che crescere e vivere in una società che giudica prevalentemente le donne per come appaiono innesca insicurezza sul proprio aspetto fisico e, nel tempo, un maggior rischio di sviluppare disturbi alimentari e disfunzioni sessuali. Sappiamo, però, ancora poco di come cambia la percezione della donna quando viene oggettivata. Noi abbiamo dimostrato che una donna in intimo o in costume da bagno viene vista come più simile a un oggetto rispetto all’uomo, senza differenze significative tra quanto accade nel cervello delle donne e nel cervello degli uomini. È la prima volta che siamo stati in grado di dimostrare che la percezione di una donna, della quale è messo in risalto l’aspetto fisico, cambia, oltre la metafora, diventando più simile a un vero oggetto».
Come si è arrivati al risultato? Negli esperimenti, a cui hanno partecipato uomini e donne, sono state utilizzate immagini di modelli maschili e femminili, più o meno vestiti e degli avatar creati sulla base di questi modelli. L’attività cerebrale è stata misurata attraverso l’elettroencefalogramma.
Su una scala del grado di umanità, che spazia dalla persona umana a un oggetto, Vaes precisa che il cervello di donne e uomini tende a riconoscere un grado di umanità minore (e quindi una più marcata somiglianza a un oggetto) in una donna che in un uomo in intimo o in costume da bagno.
Sono diverse le implicazioni del risultato che il cervello tenda ad associare “donna” a “oggetto”. Nell’articolo si citano i comportamenti tipici del rapporto con le cose (come il senso di possesso e il modo di uso) che diventano violenza di genere, la sessualizzazione della donna nei media e nei videogame, la deumanizzazione che caratterizza, ad esempio, il razzismo. Vaes osserva: «Adottare un paradigma che misura se entità umane e non umane vengono percepite in modo differente può fornire un‘evidenza dei processi di deumanizzazione oltre la metafora».
I risultati potrebbero, dunque, offrire nuovi strumenti per rilevare gli stereotipi e indagare fenomeni come la violenza di genere e razziale.
La discussione su ciò che porta una donna a essere più esposta di un uomo al rischio di venir considerata un oggetto coinvolge teorie evoluzionistiche e socio-culturali e interpella varie discipline scientifiche. Il team di ricerca del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive e del Centro interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) di UniTrento ha analizzato cosa accade nel cervello umano di fronte a un oggetto che viene fatto apparire in due situazioni diverse: in mezzo a un gruppo di donne e in mezzo a un gruppo di uomini. L’attività cerebrale, misurata con l’elettroencefalogramma, dimostra che un oggetto si nota meno quando è in mezzo alle donne rappresentate in intimo o in costume da bagno.
Jeroen Vaes, professore del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive e primo firmatario dell’articolo, racconta: «Gli studi condotti da decenni sull’impatto dell’oggettivazione sessuale dimostrano che crescere e vivere in una società che giudica prevalentemente le donne per come appaiono innesca insicurezza sul proprio aspetto fisico e, nel tempo, un maggior rischio di sviluppare disturbi alimentari e disfunzioni sessuali. Sappiamo, però, ancora poco di come cambia la percezione della donna quando viene oggettivata. Noi abbiamo dimostrato che una donna in intimo o in costume da bagno viene vista come più simile a un oggetto rispetto all’uomo, senza differenze significative tra quanto accade nel cervello delle donne e nel cervello degli uomini. È la prima volta che siamo stati in grado di dimostrare che la percezione di una donna, della quale è messo in risalto l’aspetto fisico, cambia, oltre la metafora, diventando più simile a un vero oggetto».
Come si è arrivati al risultato? Negli esperimenti, a cui hanno partecipato uomini e donne, sono state utilizzate immagini di modelli maschili e femminili, più o meno vestiti e degli avatar creati sulla base di questi modelli. L’attività cerebrale è stata misurata attraverso l’elettroencefalogramma.
Su una scala del grado di umanità, che spazia dalla persona umana a un oggetto, Vaes precisa che il cervello di donne e uomini tende a riconoscere un grado di umanità minore (e quindi una più marcata somiglianza a un oggetto) in una donna che in un uomo in intimo o in costume da bagno.
Sono diverse le implicazioni del risultato che il cervello tenda ad associare “donna” a “oggetto”. Nell’articolo si citano i comportamenti tipici del rapporto con le cose (come il senso di possesso e il modo di uso) che diventano violenza di genere, la sessualizzazione della donna nei media e nei videogame, la deumanizzazione che caratterizza, ad esempio, il razzismo. Vaes osserva: «Adottare un paradigma che misura se entità umane e non umane vengono percepite in modo differente può fornire un‘evidenza dei processi di deumanizzazione oltre la metafora».
I risultati potrebbero, dunque, offrire nuovi strumenti per rilevare gli stereotipi e indagare fenomeni come la violenza di genere e razziale.
L’articolo
Lo studio, dal titolo “Assessing neural responses towards objectified human targets and objects to identify processes of sexual objectification that go beyond the metaphor”, è stato condotto da Jeroen Vaes, Daniela Ruzzante e Carlotta Cogoni (del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive, UniTrento) e da Giulia Cristoforetti e Veronica Mazza (del CIMeC, UniTrento).
Lo studio, dal titolo “Assessing neural responses towards objectified human targets and objects to identify processes of sexual objectification that go beyond the metaphor”, è stato condotto da Jeroen Vaes, Daniela Ruzzante e Carlotta Cogoni (del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive, UniTrento) e da Giulia Cristoforetti e Veronica Mazza (del CIMeC, UniTrento).
(e.b.)
Pubblicato oggi sulla rivista “Scientific Reports”, è disponibile in Open Access all’indirizzo: www.nature.com/articles/s41598-019-42928-x