Trento
12 Ottobre 2023

Cotto da un Neanderthal

Sapevano controllare il fuoco e usarlo per preparare il cibo. Abitudini e curiosità della loro dieta ricostruite nelle tracce lasciate attorno ai numerosi focolari. Pubblicato su Plos One lo studio che chiude venti anni di scavi archeologici in una grotta del Portogallo centrale, la Gruta da Oliveira. Con una conclusione che scuote i pregiudizi sui Neanderthal: erano intelligenti quanto gli Homo sapiens. L’archeologo UniTrento Diego Angelucci: «Più che di specie diverse, parlerei di forme umane diverse»

I Neanderthal sapevano domare il fuoco. Erano in grado di accenderlo, alimentarlo e usarlo per cuocere i cibi, scaldarsi, difendersi dagli animali. E avevano riservato al fuoco un posto importante, nel cuore dei luoghi dove abitavano. È quanto emerge da uno studio internazionale pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Plos One che mette insieme gli indizi e i ritrovamenti raccolti nell’arco di oltre vent’anni di scavi archeologici condotti in una grotta del Portogallo centrale. Per la comunità scientifica lo studio è la conferma di una teoria maturata negli ultimi anni tra gli archeologi, che cambia il modo di guardare ai Neanderthal. Non più sulla base di un pregiudizio diffuso che li ha sempre visti come inferiori all’Homo sapiens. Ma invece come l’attestazione della presenza di una forma diversa della stessa specie, la cui reputazione di analoga intelligenza e capacità merita di essere riabilitata. Al punto da mettere in dubbio la necessità di continuare a considerare Neanderthal e Homo sapiens due specie diverse e non, invece, due forme della stessa specie.
Il fatto che i Neanderthal fossero in grado di strutturare un fuoco e di usarlo, tra le altre cose, per cucinare rivela infatti quanto fossero intelligenti. «È una conferma di quanto abbiamo già osservato e teorizzato in studi precedenti – spiega Diego Angelucci, archeologo dell’Università di Trento e coautore dello studio. Padroneggiavano il pensiero simbolico, producevano oggetti artistici, sapevano prendersi cura del proprio corpo usando ornamenti e avevano una dieta estremamente variata. A queste informazioni si aggiunge ora il fatto che, dall’analisi dei ritrovamenti, riusciamo ad affermare con certezza che consumavamo abitualmente cibi cotti. Una abilità che conferma un livello di competenza analogo a quello dei sapiens vissuti millenni più tardi».
Ma come si è scoperto che i Neanderthal sapevano gestire il fuoco? «L’archeologia moderna concorda sul fatto che lo conoscevano. Ma un conto è prendere il fuoco dalla natura in seguito a un incendio sviluppato naturalmente, ad esempio da un fulmine, un altro è ricrearlo, alimentarlo con il legname e usarlo per l’alimentazione, il calore o la difesa. In questo studio dimostriamo che senza alcun dubbio lo sapevano fare e che il fuoco era già un elemento centrale nella vita quotidiana».

Uno scavo lungo vent’anni – L’articolo documenta e mette a confronto le numerose tracce di fuochi strutturati rinvenute nello stesso luogo: la Gruta da Oliveira nel Portogallo centrale, uno dei siti archeologici europei più importanti per il Paleolitico medio. L’eccezionalità di questa grotta è che è stata scavata sistematicamente e in modo molto approfondito per più di vent’anni tra il 1989 e il 2012. A occuparsene è stato un gruppo internazionale di archeologi guidato da João Zilhão (Università di Lisbona), che è autore dello studio insieme a Diego Angelucci (UniTrento) e Mariana Nabais (IPHES, Istituto catalano per la Paleoecologia umana e l'Evoluzione sociale di Tarragona).
La grotta fa parte di una vasta rete carsica, il sistema di Almonda, posizionato sopra una sorgente di grande portata, con grotte poste a quote diverse e occupate in più fasi della Preistoria. Nella Gruta da Oliveira, che include più gallerie e anfratti, gli strati più antichi risalgono a circa 120mila anni fa, i più recenti a circa 40 mila: si ritiene sia stata abitata dai Neanderthal dai 100 ai 70mila anni fa. «Per noi Almonda è una specie di “supermercato della preistoria” per la varietà e ricchezza di manufatti e resti che abbiamo ritrovato negli anni. Dai resti del Paleolitico Inferiore, passando per le pietre scheggiate della cultura Musteriana, c’è davvero di tutto» commenta Angelucci.

Focolari e resti di cibo – Ma ciò che ha attirato l’attenzione degli archeologi è stato in questo caso la ripetuta presenza di tracce di focolari costruiti intenzionalmente nello spazio abitato e ripetutamente utilizzati. In un’area di scavo di circa 30 metri quadrati per 6 metri di spessore di riempimento ne sono emersi circa una decina su vari livelli stratigrafici. La forma circolare inconfondibile, a conca, riempita di resti. Accanto e dentro i focolari, segni inequivocabili dell’abitudine a cuocere il cibo: «Abbiamo trovato ossa bruciate, legname combusto, resti di cenere e di pasto bruciati. E sotto – racconta Angelucci – il terreno scottato dal calore: un particolare importante perché ci dice che la struttura si trova in posizione primaria. Ed è sempre stato lì. Il fuoco è un elemento fondamentale nella loro vita quotidiana. Rende un luogo confortevole, aiuta a socializzare. Restituisce quell’idea rudimentale di “casa” che forse potrebbe valere anche per loro».

Una dieta variata – Di che cosa si nutrivano i Neanderthal? «Abbiamo potuto ricostruire cosa mangiavano e persino le tecniche di cottura. C’erano resti cotti e ossa bruciate di capre, cervi, cavalli, uri (gli antenati del bue), rinoceronti, tartarughe, che probabilmente venivano adagiate sul carapace e stufate su pietre roventi. In questa grotta dell’entroterra si mangiava carne, ma in altri scavi in grotte affacciate sul Mediterraneo occidentale vicino a Cartagena (Spagna) sono stati trovati resti di pesci, cozze e molluschi, addirittura pinoli tostati. Che avessero una dieta variata lo avevamo dimostrato già nel 2020 in un precedente articolo su Science; gli scavi portoghesi hanno ulteriormente confermato l'utilizzo del fuoco per cuocere il cibo».
Tra i nodi che gli scavi non hanno ancora sciolto è invece come i Neanderthal accendessero il fuoco. «Forse come si faceva nel Neolitico battendo una selce su una roccia e producendo scintille che producevano l'innesco in altri oggetti, ad esempio un nido secco. Una tecnica preistorica che si è scoperta studiando Őtzi, l’uomo del Similaun. Ma al momento non abbiamo trovato evidenze». Scavare una sequenza che copre un intervallo di 30mila anni ha però permesso agli archeologi di comparare i dati con altri siti della stessa zona, che risalgono invece al Paleolitico Superiore e sono riferibili a un periodo più recente, in cui è attestata la presenza dell’Homo sapiens. «Non abbiamo trovato alcuna differenza: analoghe modalità di abitare questi luoghi, di frequentare le grotte per viverci. Competenze ugualmente segno di intelligenza. Più che di specie diverse, parlerei quindi di forme umane diverse».

Lo studio – Con questa pubblicazione si chiude il lungo lavoro di analisi sui dati rilevati sistematicamente in loco nell’arco di trent’anni. Il team portoghese di João Zilhão ha studiato la scheggiatura delle pietre, mentre Mariana Nabais ha analizzato i resti ossei e condotto le analisi spaziali, per vedere la distribuzione dei reperti nella grotta e la collocazione dei fuochi. Il gruppo di ricerca dell’Università di Trento (Dipartimento di Lettere e Filosofia) si è occupato della stratigrafia del terreno e degli studi al microscopio. «Abbiamo seguito le tecniche dell'attuale archeologia interdisciplinare: studi preliminari sul luogo, scavo minuzioso posizionando tutti i reperti e setacciando sistematicamente tutto il terreno, metodica precisa di raccolta dei dati sul terreno, raccolta di campioni per la successiva analisi al microscopio o in laboratorio: questo tipo di archeologia viene portata avanti con le metodologie più avanzate. Richiedono tempo e risorse e sono quelle che insistiamo a insegnare ai nostri studenti.

(a.s.)

L’articolo “Formation processes, fire use, and patterns of human occupation across the Middle Palaeolithic of Gruta da Oliveira” è disponibile in open access su Plos One. https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0292075