Trento
27 Ottobre 2020

Università di Trento “scatenata” contro i video falsificati

UniTrento assieme all’Università di Firenze è protagonista del progetto internazionale Unchained per smascherare e tracciare il deepfake. Obiettivo: sviluppare soluzioni tecnologiche adatte a ricostruire tutta la catena di elaborazioni subite dal dato multimediale e dare così supporto ai servizi di intelligence

Nella lotta al falso, dopo il fotomontaggio e le fake news, la nuova frontiera si chiama deepfake. Consiste nella creazione altamente realistica di video e di immagini tramite tecniche avanzate di intelligenza artificiale. Una manipolazione sofisticata e profonda, subdola e pervasiva, capace di trarre in inganno perfino il cervello umano, che a volte non riesce a distinguere tra artificiale e naturale.
Uno dei casi più noti di deepfake, all’inizio preso per vero e diventato virale, è il video falsificato di Mark Zuckerberg che nell’estate 2019 venne pubblicato su Instagram suscitando grande clamore. L’immagine dell’amministratore delegato di Facebook era stata manipolata per fargli pronunciare, con una voce creata al computer, parole che nella realtà non aveva mai detto sul controllo del futuro.
Un esempio di manipolazione video più leggera (un semplice rallentamento introdotto nella sequenza), ma molto dannosa dal punto di vista della reputazione, era stato nella primavera 2019 quello che induceva a pensare a uno stato di ubriachezza della presidente della Camera dei rappresentanti statunitense Nancy Pelosi. Il video, pubblicato su Facebook e condiviso su Twitter, anche questa volta era diventato subito virale.
Il deepfake impegna forze investigative e informatiche in una nuova lotta contro il falso che impone di riconoscerlo, ma anche di ricostruire tutta la catena di elaborazioni subite dal dato multimediale, da quando un video viene generato alle varie condivisioni nei social, che ne aumentano l’effetto. La lotta mobilita un team di ricerca italiano che vede protagoniste le Università di Trento e di Firenze.
Il progetto si chiama Unchained (Uncovering media manipulation chains through container and content detectable traces) e ha l’obiettivo di rilevare in rete contenuti multimediali manipolati e potenzialmente diffamatori e la loro tracciabilità. È stato finanziato dalla Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency), agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie, in un bando sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel contrasto ai raggiri (AI Explorations Reverse Engineering Deceptions). Viene lanciato oggi, martedì 27 ottobre, e domani in un kick off online con Matt Turek, project manager americano di Unchained e durerà 18 mesi.
L’unità di ricerca dell’Università di Trento è guidata da Giulia Boato, professoressa del Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione dell’Ateneo.
Le tipologie di falsificazione – spiega – sono diverse. A volte vengono combinati e sovrapposti video esistenti, altre volte si fanno dire a persone reali frasi che non hanno mai pronunciato, altre volte ancora si generano al computer immagini umane. Il deepfake è una tecnica di apprendimento e sintesi automatica usata soprattutto per creare video falsi di persone molto note, che può dare luogo a truffe, casi di revenge porn, cyberbullismo o altri crimini informatici.
Giulia Boato osserva: «Oggi si riesce già a rilevare molte tracce quali, ad esempio, quelle lasciate dal sistema di acquisizione, la codifica e ri-codifica del segnale, alcune tecniche comuni di elaborazione, alcuni meccanismi di condivisione su social. Molto più complesso e risolto solo in piccola parte è il problema di valutare queste cose all’interno di una catena di elaborazione, il ciclo di vita del dato multimediale, in termini di provenienza, manipolazioni e condivisioni subite. È ciò su cui lavoriamo noi».
Riferisce che nel team di ricerca UniTrento porta soprattutto le competenze maturate nell’analisi del viso umano e del segnale e si concentra quindi sul contenuto, mentre l’Università di Firenze dà il proprio contributo con l’analisi del formato.
«Il nostro lavoro consiste nello sviluppare algoritmi, basati sia su analisi statistiche sia su paradigmi di deep-learning, adatti a scandagliare e ripercorrere tutta la catena del dato multimediale. L’investigazione forense ha bisogno della ricostruzione complessiva. Solo così possiamo dare un supporto ai servizi di intelligence, per la polizia postale e per tutti gli attori preposti a tracciare contenuti falsi e malevoli» conclude.

 

(e.b.)