Trento
7 Agosto 2019

Il Cibio dà un taglio alla fibrosi cistica

Un gruppo di ricerca dell’Università di Trento con l’editing genomico è riuscito a risolvere in modo permanente due delle mutazioni che causano la malattia. In sostituzione dei modelli animali, in questo studio sono stati usati organoidi sviluppati a partire da cellule dei pazienti. Il lavoro di ricerca è stato realizzato in collaborazione con KU Leuven in Belgio e con il sostegno della Fondazione ricerca fibrosi cistica e la partecipazione dell’Associazione trentina fibrosi cistica. I risultati sono stati pubblicati oggi dalla rivista scientifica “Nature Communications”.

Dare un taglio alla fibrosi cistica è possibile, almeno per alcune delle mutazioni che la causano. Il rimedio arriva dall’editing genomico. Un gruppo di ricerca del Dipartimento Cibio dell’Università di Trento ha infatti dimostrato l’efficacia di Crispr-Cas, la forbice molecolare su cui sta lavorando con successo negli ultimi anni, per risolvere in modo permanente il problema alla base della malattia.
L’approccio adottato dal team dell’Ateneo di Trento, guidato da Anna Cereseto, apre nuove prospettive nella cura della Fibrosi cistica, malattia genetica per la quale al momento non esiste cura definitiva. Il lavoro di ricerca è stato realizzato in collaborazione con KU Leuven, Belgio. Il progetto (“Nuovo approccio di terapia genica: riparare le mutazioni splicing del gene Cftr mediante tecniche di editing genomico”) ha potuto contare su un finanziamento di 90 mila euro in due anni dalla Fondazione ricerca fibrosi cistica anche attraverso la partecipazione dell’Associazione trentina fibrosi cistica. I risultati dello studio sono stati pubblicati oggi su “Nature Communications”, rivista scientifica open access.
Alla base della malattia c’è una mutazione del gene responsabile della sintesi della proteina Cftr (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator) il cui malfunzionamento colpisce più organi, in particolare i polmoni. Il gruppo di ricerca UniTrento/KU Leuven ha adattato il sistema Crispr-Cas, la forbice molecolare che sta rivoluzionando il campo della biomedicina, in modo da correggere in maniera definitiva almeno due tipi di mutazione che causano la Fibrosi cistica. La tecnica è chiamata “SpliceFix” perché ottiene la riparazione del gene (fix) e ripristina il corretto meccanismo di produzione della proteina (splicing).
Giulia Maule, studentessa del dottorato in Scienze biomolecolari all’Università di Trento e prima firmataria dell’articolo, spiega: «Abbiamo messo a punto una strategia di correzione genomica basata su Crispr-Cas per eliminare in modo permanente due specifiche mutazioni che stanno alla base della malattia. Crispr-Cas funziona come un bisturi genomico che permette di eliminare in maniera super precisa gli elementi mutati. Abbiamo dimostrato che la nostra strategia di riparazione è efficace in organoidi derivati da pazienti e ha un alto grado di precisione colpendo soltanto le sequenze mutate e lasciando intatto il Dna non interessato dalla mutazione».
La giovane ricercatrice sottolinea un aspetto innovativo della sperimentazione: «In sostituzione dei modelli animali l’utilizzo di organoidi sviluppati a partire da cellule dei pazienti ci ha permesso di verificare l’efficacia della strategia molecolare in un contesto vicino a quello dei pazienti affetti da Fibrosi cistica».
La fibrosi cistica viene chiamata anche “malattia invisibile” perché non è accompagnata da particolari segni esteriori eppure condiziona in modo pesante la vita delle persone che ne sono colpite. Soffrono soprattutto di problemi respiratori e di digestione. La malattia si eredita dai genitori. In Italia c’è un portatore sano ogni 25 persone. Una coppia di portatori sani, a ogni gravidanza, ha una probabilità su quattro di generare un figlio malato. Le persone malate in Italia sono circa 6 mila con 200 nuovi casi l’anno.

(e.b.)
L’articolo

L’articolo, dal titolo “Allele specific repair of splicing mutations in cystic fibrosis through AsCas12a genome editing”, è stato pubblicato oggi da “Nature Communications”.
È stato scritto da Giulia Maule, Antonio Casini, Claudia Montagna, Gianluca Petris e Anna Cereseto (Università di Trento) e da Anabela S. Ramalho, Kris De Boeck, Zeger Debyser e Marianne S. Carlon (KU Leuven).
L’articolo è disponibile in open access sul sito di Nature Communications all’indirizzo: http://www.nature.com/ncomms  (DOI 10.1038/s41467-019-11454-9).